Tre giorni di grandi eventi culturali a conclusione del lavoro di un anno intero. La quarta edizione del Premio Sila ’49 ha chiuso il sipario fra gli applausi di un parterre sempre più folto e competente. Il grande protagonista della manifestazione è stato sicuramente Stefano Rodotà, tornato a Cosenza per ricevere il Premio Speciale alla Carriera, che ha deliziato quanti sono accorsi a rendergli omaggio a Palazzo Arnone con una splendida lectio magistralis, ma gli incontri con Chiara Saraceno e Guido Quarzo e la cerimonia di premiazione finale condotta da Paride Leporace hanno avuto pure la loro cornice di pubblico appassionato.

Ma riavvolgiamo il nastro della manifestazione per riviverla insieme.

L’edizione di quest’anno è stata caratterizza da una novità importante: la nascita della collaborazione con l’artista Mimmo Paladino. Pittore, scultore, incisore e uno dei rappresentanti più affermati della Transavanguardia, Mimmo Paladino è l’autore del manifesto del Premio Sila 2015 e ha realizzato il bronzetto che, a partire da questa edizione, sarà consegnato ai vincitori.

Le filastrocche di Quarzo
Come tradizione l’apertura, giovedì 19 novembre, è stata dedicata ai più piccoli che, accompagnati dalle loro docenti, hanno affollato la sala di Palazzo Arnone interagendo vivacemente con lo scrittore Guido Quarzo, già due volte vincitore del Premio Andersen. A dispetto di dati che restituiscono un quadro desolante – in Calabria il 70% dei bambini l’anno scorso non ha letto un libro – la giornata iniziale del Premio Sila ’49 ha ancora una volta rivelato l’energia e l’interesse dei più piccoli verso la scrittura e la necessità di nuovi stimoli da offrire alle nuove generazioni.

Nel pomeriggio, prima dell’incontro formativo rivolto a docenti e formatori, Guido Quarzo ha visitato la ludoteca comunale di via Popilia, improvvisando una lettura con i bambini impegnanti nel doposcuola. Poi è toccato agli insegnanti confrontarsi con la vivacità culturale di Quarzo per assorbire nuovi strumenti di comunicazione con i più piccoli.

La lectio magistralis di Rodotà
Un affetto incredibile. Palazzo Arnone che traboccava di gente. Il quartiere paralizzato da tutti quelli che “volevano esserci”. Il ritorno a Cosenza di Stefano Rodotà è stato davvero un grande evento. Il giurista ha incantato un pubblico tanto numeroso da straripare oltre la sala, oltre le stanze adiacenti, oltre le mura del Palazzo. Una lezione su “La vita nella Rete” che è stata la sintesi degli interessi del professore, perché da Internet si è presto passati a temi che sono propri della sua storia di intellettuale: l’uomo, la libertà, i diritti.

Oltre un’ora di lectio magistralis quasi senza uno sguardo agli appunti che teneva davanti e con la quale ha saputo sorprendere la platea che lo ascoltava rapita. Perché in questa lezione c’era il Rodotà che conosciamo bene – il fine giurista, l’oratore di pregio – ma anche un esperto di nuove tecnologie quale a Cosenza non si era abituati.

Una lezione che, partendo dallo smartphone, ha toccato i punti sensibili di un futuro al quale non ci affacciamo, secondo lui, con la necessaria consapevolezza.

Al centro del suo ragionamento il modo in cui lo smartphone registra e trasmette i nostri dati sensibili. Contro il pericolo dello svilupparsi delle intelligenze artificiali si sono pronunciati – con toni apocalittici – uomini come Bill Gates, l’inventore di Skype Niklas Zennstrom, Stephen Hawkink: «Fermiamoci prima che sia troppo tardi – hanno detto – è un pericolo più grande della bomba atomica».  Secondo Rodotà, invece, «dobbiamo preoccuparci saggiamente», perché questi fenomeni sono sì pericolosi, «ma possono essere governati». Come? Naturalmente «con il diritto».

E diritto, per Rodotà, vuol dire fare in modo che tutti possano accedere nello stesso modo alle tecnologie; che nel percorso che ci porta a Internet 3.0, «quello in cui le macchine dialogano con le altre macchine», vengano tutelati nello stesso modo la libertà e la reputazione di tutti i cittadini.

Perché i rischi ci sono. «Chi raccoglie i dati personali forniti dall’uso dello smartphone? Cosa dice l’algoritmo che sceglie i nostri dati? Chi li gestisce?» domanda, retoricamente, il giurista. Che vorrebbe che il vuoto legislativo che concentra tanto potere nelle mani delle multinazionali di Internet venisse finalmente colmato.

Un ragionamento complesso. Ricamato utilizzando, per farsi comprendere, da generalizzazioni di cui si scusava continuamente ma che non erano mai banali. Piuttosto uno strumento per raggiungere tutti. La sua ossessione, la sua stella polare di intellettuale e di politico.

Conclusa la lezione, Rodotà non si è sottratto alle domande del pubblico. Il primo a sollecitarlo è stato l’avvocato Enzo Paolini, che del Premio è l’insostituibile motore e che lo ha trascinato sul campo della Costituzione. Erano in tanti, in sala, a voler conoscere la sua posizione sulle riforme costituzionali fatte o tentate dal governo Renzi e Rodotà non ha risparmiato al lavoro del governo le sue critiche acute e ben argomentate.

Armeni intervista Saraceno
La mattina dopo a confrontarsi nella sala di Palazzo Arnone sono state Ritanna Armeni e Chiara Saraceno. La giornalista ha intervistato la sociologa sul suo ultimo libro (“Il lavoro non basta”, edizioni Feltrinelli) davanti a un pubblico attento e concentrato. Saraceno ha vinto il Premio Sila per la sezione Economia e Società con un lavoro in cui ha ripreso i temi di tutta una carriera universitaria (la lotta alla povertà, il rapporto fra contratti e giustizia sociale, il welfare) rivisti alla luce della crisi economica iniziata nel 2008. Un percorso che l’ha spinta a riproporre con forza l’idea di un reddito minimo di inserimento, previsto in qualche forma in quasi tutti gli altri Paesi dell’Occidente ma del tutto assente in Italia «per l’opposizione congiunta di Chiesa e sindacati» preoccupati, secondo la sociologa, dalla perdita della centralità del lavoro.

Armeni ha pungolato Saraceno con le sue domande, poi è stato il turno del pubblico. Tante le domande provenienti dalla sala, con Saraceno attenta ad appuntarsele tutte e a tutte rispondere con i suoi ragionamenti economici trapuntati dalla sua garbata ironia.

La cerimonia di premiazione
«Posso dire che il testo della riforma del Senato è un oltraggio alla lingua italiana? Quando scrissero la Costituzione, e la scrisse gente del valore di Benedetto Croce, ebbero l’umiltà di dire: “Mandiamola a Pietro Pancrazi”, il migliore linguista dell’epoca. Questi invece sono sempre così sicuri…». Stefano Rodotà è stato il protagonista indiscusso anche della serata conclusiva del Premio Sila, che il 21 novembre ha visto celebrare la premiazione in un Palazzo Arnone di nuovo pieno di gente, e si è concesso con una generosità addirittura superiore a quella che tutti gli riconoscono e che costituisce un tratto così importante del suo carattere.

A ritirare i bronzetti creati da Paladino per il Premio Sila sono stati il giurista cosentino (Premio speciale alla Carriera), Leonardo Colombati (Premio Letteratura), Chiara Saraceno (Premio Economia e Società) e Jason Pine (Premio Sguardo da lontano). A fare gli onori di casa Paride Leporace, che ha subito impresso alla serata un tono intimo, confidenziale, senza però rinunciare a toccare tutte le questioni delicate messe in campo dai libri premiati.

Leporace ha subito informato Rodotà sul risultato della partita di calcio fra Cosenza e Monopoli, ricordando la sua passione intatta per i colori rossoblù, e l’ex parlamentare è stato al gioco, lasciandosi andare a ricordi e rievocazioni in quella che è diventata una lunga dichiarazione d’amore per la sua città natale. Che ha dovuto abbandonare, ha ammesso, per seguire le sue ambizioni intellettuali, ma che ha sempre avuto un posto importante nel suo cuore. «Ricevere questo premio per me è particolarmente importante – ha voluto aggiungere – perché mi sembra, in questo modo, di essere stato finalmente perdonato dalla città che ho “abbandonato” tanti anni fa».

Rodotà ha tenuto banco alternando l’aneddotica umoristica alle parole dure seppur calibrate con cui affrontava le questioni più delicate che venivano affrontate sul palco. Piccoli episodi che già avevano impreziosito a tratti la sua lectio magistralis ma che ieri hanno trovato terreno fertile. Anche perché gli altri protagonisti della serata non sono stati a guardare.

Colombati ha ripreso il filo della nostalgia per la città natale raccontando di come abbia «iniziato ad amare disperatamente Roma solo quando sono andato a lavorare in Inghilterra per due anni». Da allora è la sua ossessione, la musa ispiratrice sempre presente nei suoi scritti e protagonista straordinaria del romanzo con cui si è aggiudicato il bronzetto: “1960”. Ma Colombati è anche puntiglioso appassionato di musica, e su questo argomento – sempre stuzzicato da Leporace – ha duettato con Jason Pine. Lo scrittore americano è stato la sorpresa della serata, vuoi per il suo ottimo italiano, vuoi per il modo in cui ha saputo spiegare il senso del suo bellissimo lavoro: una rappresentazione della Napoli più sotterranea delineata a partire dall’analisi del fenomeno neomelodico. Pine ha parlato di «Antropologia di osservazione partecipante» per spiegare il suo metodo fatto di duro lavoro sul campo. Marta Petrusewicz lo ha premiato lodando la sua libertà dagli stereotipi che spesso opacizzano la nostra capacità critica e che gli ha concesso di «cogliere aspetti inediti della sociologia napoletana».

Pine, forse anche a causa della lingua, è stato l’unico a sottrarsi dal gioco dell’aneddoto che ha fatto sciogliere anche la rigorosa Chiara Saraceno. La sociologa, stimolata stavolta da Leporace, è tornata a parlare di welfare e di difesa degli ultimi, regalando anche passaggi sulla sua dura esperienza universitaria a Trento, dove in quegli anni nascevano le Brigate Rosse e dove la sua attività politica era diventata oggetto di discussioni in consiglio comunale.

Saraceno ha riconosciuto i ritardi di Roma nel comprendere le istanze dei calabresi ma non ha risparmiato dure critiche alla classe dirigente locale. Per rispondere a lei Rodotà ha ripreso la parola e attaccato i politici calabresi: «Una volta esisteva la Questione meridionale, ma il ceto politico locale è stato capace di farla diventare una questione di ordine pubblico. E’ chiaro che l’orizzonte si restringe, il dibattito si soffoca».

Una serata formale, da red carpet, ma anche un momento di forte partecipazione da parte della città. Dopo i saluti finali il palco è stato circondato da persone che volevano parlare ancora, discutere ancora, confrontarsi ancora. Ma Enzo Paolini, che da buon padrone di casa è stato protagonista dei saluti finali, non ha potuto fare altro che invitarli alla prossima edizione. Una edizione, ha assicurato, che riserverà importanti sorprese e che svilupperà il rapporto con le scuole e con i ragazzi.