Quando la giuria del Premio Sila ha comunicato la scelta di Gustavo Zagrebelsky ho pensato al nostro Paese. Ed a tutte le cose che sono successe in questi anni.
Non agli ultimi. A quelli dal 1948, ad oggi.
Il 1 gennaio veniva promulgata la Costituzione Italiana ed in quel momento, ancora carico di dolori e di sofferenze, ma pieno di speranza e di entusiasmo per un paese da ricostruire, in primo luogo nelle sue Istituzioni entrava in gestazione il Premio Sila che avrebbe visto il suo primo atto nel ’49 e che è proprio quello che celebriamo ancora oggi, a 68nanno di distanza.
Da allora sono successe tante cose e di ciascuna di esse il Premio Sila è stato testimone, talvolta interprete e tal’altra finanche attore sul piano della sollecitazione e del contributo culturale.
E così ha attraversato tutta la temperie del dopoguerra e della tessitura di una trama istituzionale e socio-culturale con l’impegno di persone come Leone da Repaci, la sensibilità di Ungaretti, Carlo Bo e Ardengo Soffici, il meridionalismo di Corrado Alvaro, le provocazioni di Zavattini , la visione di Carlo Levi, tutti giurati, elaboratori di pensiero politico al cenacolo del Sila.
Ha interpretato l’Italia del Consiglio Vaticano secondo con il pensiero di Antonio Guarasci e quella del divorzio con Loris Fortuna, ha raccontato gli anni di piombo con la voce di Rosario Villari, di Valter Pedullà e con quello che sarà poi il cinema di Vincenzo Cerami e Alberto Sordi.
Ha fatto testimonianza civile contro la mafia con il “sasso in bocca” di Michele Pantaleone e con le proposte visionarie e moderne di Franco Basaglia, ha saputo essere popolare ed anticonvenzionale, è stato contestato e ha acceso discussioni, ma ha sempre saputo guardare al suo tempo, facendo critica ed autocritica, rigenerandosi e ridefinendo nel corso delle edizioni le sue modalità senza mai abbandonare il suo obiettivo primario .
Quello di raccontare con storie semplici come quella dell’omonimo titolo con il quale Leonardo Sciascia vinse l’ultima edizione prima dell’interruzione. Una storia semplice ma profonda, e acuminata, dritta come una lancia piantata lì nel punto esatto in cui anche il Premio Sila, come il protagonista del romanzo, si ferma per non pensare agli ideali che finiscono per essere schiacciati dalla negligenza delle istituzioni o da chi non vuole cambiare , da chi si gira dall’altra parte.
Una lunga pausa, circa vent’anni. Al posto dei libri e delle storie, drive in e telenovelas. Quasi la consapevolezza di una sconfitta, comunque un cambiamento, non in meglio. Poi la rinascita in un momento analoga alla nascita.
Noi nel 2011 non avevamo macerie da rimuovere e città da ricostruire, non uscivamo da una guerra ma abbiamo avvertito l’esigenza.
Era venuto il momento di avviare, anche con il piccolo gesto, una ricostruzione morale e politica del nostro paese.
E così che siamo arrivati a Gustavo Zagrebelsky. Non finirà mai di ringraziare la giuria per aver condotto il Premio Sila su una traiettoria coerente comprensibile quanto mai e che da Settisi a Rodotà a Ginzburg ci ha portati diritti dritti a lui.
Io non ho avuto il privilegio di parlare in Corte Costituzionale davanti al presidente Zagrebelsky ma ho letto e l’ho ascoltato e ho pronunciato le sue parole, i suoi concetti lo scorso 24 gennaio quanto la Corte, condividendoli, ha cancellato una parte di una legge malfatta dicendo che in paese democratico le elezioni si fanno per rappresentare i cittadini nelle Istituzioni non per stabilire chi comanda.
Sono gli stessi che tornerò a pronunciare, il prossimo 12 dicembre, sotto la guida di Felice Besostri, proporremo ancora alla Corte sollevando quello che tecnicamente si chiama conflitto di attribuzione che non sia consentito ad un capopartito di impedire il libero dibattito in un libero Parlamento nel momento in cui si discute della legge primaria di uno Stato cioè quello elettorale.
Chiederemo questo per arrivare, come fine ultimo, che le elezioni si facciano con sistemi che consentano al Parlamento di formare governi con idee, proposte e contenuti e non con sistemi finalizzati solo a rendere gli italiani governabili, sacrificandoli sull’altare della governabilità – questo orrendo ed irresponsabile luogo comune ogni giorno sulla bocca di inconsapevoli e di furbi – l’esigenza della rappresentanza e la funzione del governo.
Questo patrimonio enorme di coscienza civile e di senso dello Stato è di Gustavo Zagrebelsky.
Nel discorso ai giovani di Pietro Calamandrei disse loro che se volevano andare in pellegrinaggio nei luoghi dove è nata la nostra Costituzione dovevano andare sulle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi ove furono uccisi.
Dovunque un italiano è morto per riscattare la libertà e la dignità andate lì, giovani, col pensiero, perché è nata la nostra Costituzione.
Ecco, nel nostro tempo possiamo dire ai giovani che per spingere questo pensiero e mantenere vivo questo seme di libertà e di democrazia, oltre a non dimenticare “Quel che resta” e “l’inattualità di Gramsci”, occorre ascoltare parole.
Quelle di uomini come Gustavo Zagrebelsky perché dietro le parole – è Cesare Beccaria che parla – si affaccia una visione delle cose, una filosofia, un credo religioso, un punto di vista, insomma una cultura intensa come insieme delle conoscenze, del costume e di qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società.
E la nostra, quella cui noi aspiriamo e per la quale ci battiamo, vuole essere libera e giusta.
Enzo Paolini
Presidente Fondazione Premio Sila