Abbiamo già detto dei guasti enormi provocati dalla sgangherata riforma del titolo V della costituzione con la regionalizzazione – tra l’altro – del servizio sanitario.
Noi lo dicemmo già in quel tempo: l’esigenza sbandierata come “politica” di avvicinare il modo di prestare cure ed assistenze alle concrete e peculiari necessità dei territori e dei cittadini che li abitano era uno sbaglio prima che una bugia (da tempo smascherata e tollerata) che oggi però presenta il suo conto in termini di inadeguatezza ed insufficienza.
In realtà rispondeva alla volontà predatoria di creare nuovi e più penetranti centri di potere e di formazione/ imposizione di consenso elettorale e di formazione di enormi ed incontrollati flussi finanziari senza alcun riguardo agli interessi dei cittadini che avrebbero meritato (avendolo pagato con le tasse) un sistema sanitario – e connessi circuiti di ricerca e produzione- in grado di fronteggiare qualsiasi emergenza. Ma la politica era più attenta alla nomina di direttori generali ed agli appalti truffa più che alla implementazione di un vero servizio universale e solidaristico per tutto il paese e per cittadini uguali indipendentemente dalla regione in cui si trovano.
La realtà si è incaricata di dimostrare questa solare verità.
La riflessione ci porta ancora più indietro a considerare che la tragica inadeguatezza strutturale che oggi constatiamo è figlia della subcultura politica della classe dirigente degli ultimi venti anni. Quella dei “nominati”, non più legati ai cittadini elettori ma alle agenzie di rating ed alla globalizzazione. E siccome tutte le matasse hanno un bandolo è quello che occorre cercare per poter capire. Il bandolo è la sciagurata revisione dell’art 81 della costituzione che nella nuova stesura impone il pareggio di bilancio.
Spacciata nel 2012 – non importa chi era al governo, l’hanno votata quasi tutti- per una norma virtuosa era, in realtà, il mezzo per dichiarare recessivi rispetto ai mercati, alla logica iperliberista e “aziendalista”, i diritti fondamentali, quelli che i costituenti avevano previsti in costituzione e dichiarati dovuti e pretendibili dai cittadini senza “corrispettivo” – scuola, ambiente e sanità per intenderci- perché assicurati a tutti, indistintamente, mediante il prelievo fiscale proporzionale e progressivo (chi ha di più paga questi servizi anche per chi ha di meno).
Diritti “costosi”, ed infatti previsti a carico dello Stato, perché i “ricavi” da essi prodotti non sono inscrivibili in un bilancio aziendale quanto piuttosto, essendo fatti di cultura senso della comunità, conoscenze, benessere, in un ideale ma ben percepibile, bilancio istituzionale e politico.
Ma la storia è che il parlamento del 2012 totalmente impregnato degli interessi della grande finanza mondiale ed incapace di opporre ad essa la visione di un equo stato sociale, votò la modifica con una maggioranza tale da rendere impraticabile anche l’eventuale referendum confermativo.
Il coté politico è quello del tentativo renziano di completamento dell’opera sventato da venti milioni di italiani con il referendum del 2016.
Da quella revisione costituzionale discendono i tagli al fondo sanitario, i blocchi delle assunzioni, la politica dei budget e degli “acquisti” di prestazioni (terminologia orrenda che sta a significare che un burocrate nominato dal sottobosco politico stabilisce cosa serve ad una popolazione e cosa no e di cosa possono ammalarsi i cittadini per poter usufruire della assistenza dello stato, cioè di un loro diritto. La salute come azienda, appunto.)
Da qui (è purtroppo drammaticamente evidente ora)vengono i commissariamenti delle regioni in particolare al sud, oberate da debiti derivanti in parte dal fisiologico costo del servizio sanitario (ovvio, crescono le conoscenze e la tecnologia, aumenta la vita media, si implementano nuove cure, e dunque si incrementano i costi; solo un cretino non lo capisce e solo un politico corrotto o da quattro soldi se ne frega) ed in altra parte, la maggiore, dagli sprechi.
Ma i commissari (ma anche gli assessori in altre regioni) non hanno fatto la lotta agli sprechi, neanche un centesimo è stato risparmiato in questo campo, sono stati invece imposti nuovi tagli, nuove riduzioni di servizi e di diritti così da presentare (senza neanche riuscirci) bilanci migliori e indirizzati verso il pareggio.
Nessuno, a meno di voler essere smentito dalla esperienza diretta di ciascuno di noi, può dire che si sia pensato ad un progetto di sistema sanitario complessivo. Si sono chiusi ospedali a casaccio, si sono bloccate le assunzioni, non un centesimo per la prevenzione, per la medicina del territorio, per la rete emergenza/urgenza. Non ne parliamo della ricerca rimasta affidata a nicchie di volenterosi.
Noi lo scriviamo, lo diciamo, lo urliamo da anni, inascoltati, ma ora il re è nudo: il servizio sanitario non può essere regionalizzato perché la tutela della salute è un diritto fondamentale cui ha diritto ogni cittadino in maniera uguale a tutti gli altri. Neppur può soggiacere ai vincoli di spesa quella giusta necessaria -, e per fortuna, sempre maggiore -se si vuole, come si deve, assicurare sempre maggiore benessere e dunque efficienza, efficacia ai cittadini che così possono produrre merci, cultura, idee formazione e quindi, in ultima analisi sostenere la crescita, giusta ed equilibrata, del sistema paese. La vera grande opera pubblica che ci serve è questa: sostenere la scuola, tutelare l’ambiente ed il patrimonio culturale, assicurare un servizio sanitario efficace e moderno a tutti e nello stesso modo.
Gli sprechi, le truffe devono essere perseguiti con i dovuti mezzi specifici e non con i tagli lineari che falcidiano nella stessa misura spese improprie (che vanno cancellate del tutto) ed eccellenze (che invece vanno sostenute con maggiori risorse).
Ecco, ciò che bisogna fare quando saremo fuori dal tunnel. Ripristinare semplicemente la Costituzione italiana garantendo i diritti fondamentali a tutti ed in maniera piena.
Roba per la Politica con la P maiuscola. Quindi non per il parlamento in carica o per un altro eletto (autonominatosi) nello stesso modo. Occorre una nuova assemblea costituente eletta con metodo proporzionale puro.